Fra le antiche strade romane, la Via Flacca è la meno conosciuta. Correva lungo la costa laziale tra Fondi e Gaeta, in un tratto di particolare bellezza, oggi compreso nel
Parco regionale della Riviera di Ulisse, istituito nel 2003.
All’antica strada, tracciata pare nel 187 a.C. dal censore Lucio Valerio Flacco, si è sovrapposta alla fine degli anni ’50 del secolo una moderna rotabile con uno strascico di inevitabili polemiche da parte di quanti invocavano l’assoluta tutela di uno degli ultimi tratti di costa tirrenica privi di strada carrozzabile. La strada fu alla fine fatta e innescò il consueto fenomeno dell’abusivismo diffuso nonostante su tutta l’area vigessero vincoli paesaggistici e fermi propositi di protezione. La nuova Via Flacca permise però di scoprire e valorizzare il sito archeologico dell’antro di Tiberio con l’apertura di un interessante museo, pochi chilometri a sud di Sperlonga.
Della strada romana oggi non si sono perse tutte le tracce. Nei punti più dirupati della costa, con falesie che scendono a picco sul mare, e dove la moderna rotabile transita in galleria, si scorgono ancora i muri di sostegno e la massicciata dell’antico, inviolato monumento della tecnica stradale romana. Fino ad alcuni anni fa l’intero tracciato si poteva percorrere a piedi abbastanza agevolmente, oggi, non più mantenuto e non segnalato, necessita perspicacia e un po’ di fatica supplementare.
Spiaggia di S. Agostino |
Alcuni tratti sono esposti e richiedono una certa prudenza. Questa escursione è quindi indicata a coloro che apprezzano questo genere di reperti archeologici tenuto anche conto che sarà gioco forza percorrere alcuni tratti di asfalto lungo la trafficata strada moderna. A consolazione va detto che, oltre all’antica strada e agli incantevoli anfratti costieri, l’itinerario suggerisce la visita del museo di Tiberio, del centro storico di Sperlonga e, se il tempo lo consente, anche un meritato bagno.
Il punto di partenza è fissato alla fermata del bus che fa servizio lungo la Via Flacca fra Gaeta e Fondi in corrispondenza della spiaggia di S. Agostino (a 6.7 km da Gaeta). Si può scendere subito alla spiaggia e percorrere il bagnasciuga in direzione NO fino ai piedi della rupe di Monte Vannelamare. Qui si rimonta la spiaggia si passa sotto il viadotto della statale e, piegando a destra, su una carrabile ci si riporta sulla banchina della statale stessa. La si percorre su lato di destra con estrema prudenza. Scrutando la selvatica pendice della montagna si scorgono già le tenui e discontinue tracce dell’antica via, qui molto segnate dagli scoscendimenti del terreno.
Punta Cetarola |
Si entra nella galleria e si attraversa la carreggiata: sul suo lato sinistro, fra i finestroni della galleria, si noterà un cancelletto. Superatolo si esce all’esterno esattamente sulla sede dell’antica Via Flacca. Qui il battuto è agevole e prende a fiancheggiare la rupe sulla quale si esercitano i free-climbers. Aggirato questo sprone si raggiunge la tranquilla cala di Valle Cetarola. L’itinerario si riaccosta alla statale che percorre per poche decine di metri.
«Ad ogni uscita di galleria – aveva annotato negli anni ’50, subito dopo la costruzione della strada, il critico d’arte Cesare Brandi – una nuova spiaggetta, con caratteristiche sue, e i monti di roccia a picco, con i colori che ora sono quelli della costa amalfitana, ora quelli della costa calabra». Appena prima della Galleria Trepani, alcuni cartelli del parco, indicano un sentiero che si stacca verso il mare e si riporta, dopo un primo tratto sulla spoglia pendice, sull’antico tracciato.
Torre Truglia |
La strada, qui ridotta a poco più di un sentiero, per via delle ingiurie subite dai secoli, rimonta una soglia fra la Punta Cetarola, protesa nel mare, e la continuità della pendice rocciosa. In realtà di tratta di un antro naturale 3, di grande suggestione, alto circa 20 metri e lungo circa 50.
Ora segue il tratto più difficile perché invaso dalle erbe e dalla macchia. Ci si mantiene sul bordo delle grosse pietre che formavano l’impiantito della strada. Di tanto in tanto si scorgono ancora, nonostante il proliferare della vegetazione, i potenti brani di muraglioni che sostenevano il piano della strada, quasi a precipizio sul mare. Pini e cespugli di macchia nascondono l’eccezionale trasparenza del mare e il disegno delle falesie che vi si immergono in un balenìo continuo di gabbiani e altri uccelli marini. Fiancheggiando, a un certo punto, il tracciolino che segue la base delle reti paramassi si passa al di sopra dell’uscita della Galleria Trepani e quindi ci si porta al livello della strada. Percorso un altro breve tratto di asfalto e giunti di fronte al portale della Galleria Capovento, si piega verso il mare scendendo una ripida scaletta di cemento, senza protezioni.
Grotta di Tiberio |
La Via Flacca aggirava quest’altro sprone senza scendere di quota; bisogna pertanto evitare i sentieri che arrivano alla rupe del capo per mantenersi più in alto, in moderata ascesa, fino a raggiungere i ruderi di Torre Capovento, crollata nel 1994. Qui si gode una splendida veduta su gran parte del cammino fatto e su quello da fare, con il Capo della Grotta di Tiberio che costituisce l’ultimo diaframma prima della spiaggia e della rupe di Sperlonga. Dalla torre, restando lungo la costa della pendice si passa sopra il portale della galleria e si torna nuovamente sull’asfalto. Qui bisogna fare di necessità virtù e seguire per poco più di 1 km l’asfalto. Per maggiore sicurezza si può percorrere, sul viadotto Bazzano, la stretta intercapedine fra il guard-rail e la ringhiera.
Dopo buon tratto si perviene all’ingresso dell’area attrezzata della Grotta di Tiberio. Sulla sinistra, verso il mare, osserverete un ristorante che, fra le sue pertinenze, rivela i vistosi resti di muri e i grandi orci di una villa romana. Scavalcato il cancellino si segue il percorso pedonale, con panchine, che aggira il promontorio su un percorso senza dubbio meno accidentato dei precedenti, rivestito di bassa macchia con erica, ginepro fenicio, mirto e lentisco. Dall’altra parte si inquadrano la lunga spiaggia di Sperlonga, l’abitato con la Torre Truglia e, proprio sotto i vostri occhi, le peschiere della Grotta di Tiberio e la moderna architettura del Museo nazionale.
La sua visita è consigliata, così come quella della grotta. Il ‘must’ del museo è senza dubbio il gruppo scultoreo con Ulisse e i suoi compagni che accecano Polifemo. Purtroppo una parte delle figure che compongono la grande scena sono andate perdute per la furia iconoclasta dei monaci cristiani nel V-VI sec. per cui ciò che si osserva è anche frutto di una attenta ricostruzione. Il gruppo si trovava all’interno della grotta, in posizione tale da incorniciare ed esaltare il triclinio dell’imperatore Tiberio, proprietario della villa, e appassionato cultore delle gesta dell’eroe greco. Sull’origine e la datazione delle opere si avanzano diverse ipotesi: una le vorrebbe provenienti da Rodi, dove furono acquistate direttamente dall’imperatore; un’altra, invece, depone per copie di originali ellenistici realizzati in loco, espressamente per la villa fra il I sec.a.C e il I sec.d.C. Il museo espone poi altro materiale fra il moltissimo recuperato durante gli scavi della villa, eseguiti nel corso degli anni ’50 del secolo scorso.
Una stradello scende a gradoni verso il sito della villa, direttamente a mare. Si notano le fondamenta, ma soprattutto stupiscono le enormi vasche per la piscicoltura. Vi si allevavano pesci di ogni tipo e probabilmente anche rettili (vi sono stati rinvenute parti di uno scheletro di coccodrillo). Al di là della pescheria si apre il vasto antro della grotta di Tiberio. Narra la leggenda che mentre Tiberio stava banchettando, caddero enormi massi dall’alto; l’imperatore fu salvato grazie all’intervento dello schiavo Seiano, da quel momento suo favorito. Un tempo tutta la grotta era rivestita in marmo, aveva sedili per tenere incontri e convivi; qui era esposta, in modo vagamente naturale, la collezione d’arte dell’imperatore (alcune copie sono state ricollocate per ricostruire il suggestivo ambiente). Usciti dall’area archeologica e dal museo, si piega a sinistra, poi subito di nuovo a sinistra lasciando la strada carrozzabile: uno stradello riporta verso il mare e, giunti sulla spiaggia, si può raggiungere, seguendo la battigia, la non lontana Sperlonga.
Avvicinandosi emerge il dettaglio delle case costruite sulla rupe, una sessantina di metri sopra il livello del mare. Sul mare spicca invece l’antica torre di vedetta, detta Truglia, oggi sede del Laboratorio di educazione marina del Parco regionale. Giunti al porticciolo sotto la rupe, si sale per scalinate al centro storico di suggestivo aspetto per gli stretti vicoli, per il vòlti e le bianche case di sapore mediterraneo, anzi arabo se si pensa alle incursioni del famigerato pirata Barbarossa nel 1534 e a quelle dei Turchi nel 1622. La breve occupazione di quest’ultimi avrà certo recato qualche influsso. Una volta discesi, dalla parte opposta della rupe, si raggiunge la parte moderna di Sperlonga dove è possibile prendere il bus (o un taxi, 30 €) per fare ritorno a Gaeta.
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